#41
- Rain on New York /5
di Yuri N. A.
Lucia
Tutto a me pare, questa piova travolger voglia,
d'ogni umano artefatto fare scempio e nasconerlo allo sguardo del Creatore, si
fosse più empia tra le empietà...
Superò la soglia, dopo un istante
di incertezza. L'appartamento, composto da un unico ambiente che fungeva da
camera da notte e da soggiorno, un bagno, un piccolissimo angolo cottura.
Storse leggermente il naso pensando all'affitto che gli avevano chiesto per
quel buco, soprattutto al fatto che aveva dovuto pagare anticipatamente ben
quattro mesi. Tuttavia non gli era nuovo abitare in ambienti che altri
avrebbero definito senza mezzi termini, tuguri, anche se quello li batteva
tutti. Ricordò i tempi da matricola universitaria, quando viveva insieme ad
Harry. Harry! Lui avrebbe sicuramente trovato la battuta giusta che avrebbe
fatto sembrare il vivere in quel posto qualcosa di accettabile. Però non c'era,
non poteva contare sulla sua presenza rassicurante. Era strano ricordare quanto
sapesse infondergli sicurezza la sua vicinanza, pensando a tutto il terrore che
gli procurò negli ultimi, disgraziati, anni della sua vita, prima di incontrare
una morte prematura e ingiusta. No, quello che lo inquietava era Goblin, non il
suo amico. Il folletto verde che lo aveva pervaso, devastandone la psiche, a
poco a poco, l'infetto retaggio di un uomo che non sarebbe mai e poi mai dovuto
sopravvivere al figlio. Strinse istintivamente i denti. Proprio non riusciva a
perdonarglielo. Gli aveva strappato via Gwen, anni prima, minacciato persino
zia May, le due persone che più amava al mondo. Poi aveva trasformato il suo
migliore amico, un fratello per lui, in un mostro. Ma che fosse ancora in vita
era troppo. Era quello che aveva sempre pensato a livello inconscio, ora lo
stava semplicemente tirando fuori. Si buttò sul piccolo letto, dalle molle dure
e dalle coperte che avrebbe cambiato quanto prima, ascoltando la tempesta che
bussava alle imposte delle finestre con fare prepotente, quasi gli volesse
rammentare che non era tempo di auto psicoanalizzarsi ma di agire. Era per
questo che si era allontanato da casa sua, aveva litigato con M.J. come mai
aveva fatto. Aveva preso quella casa nel Queens che per essere vicino alla zona
dove Xiu Jingu aveva il suo giro di malaffare. Lo voleva tenere d'occhio da
vicino. Non poteva permettersi il lusso di perdere neanche una delle sue mosse.
Era una guerra quella. Si portò una mano là dove, due giorni prima, il
proiettile che si era beccato nel magazzino era entrato ed uscito, ledendogli
muscoli e vasi sanguigni. Portava ancora i bendaggi, anche se ormai non
sanguinava più.
Due giorni prima, un
magazzino ad August street, zona del Queens.
"Piano ragazzo, fai
piano. Non sforzarti o l'emorragia aumenta."
Continuava a fissare il
ragazzo morto che gli stava davanti. Perchè era dovuta andare così?
"Mi dispiace, è andata
così, dovevo scegliere, o te o lui."
"E così hai scelto me.
Ti ringrazio Rucker, mi hai salvato ancora una volta la vita."
"Di niente testa di
tela, dimmi piuttosto se riesci a muoverti."
"Non potrò ballare lo
schiaccianoci per una settimana ma... un paio di passetti riesco ancora a
farli."
"Ottimo - rispose
sorridendogli Terenzio, cercando di distrarlo dallo spettacolo che gli si
parava davanti. - Volevo chiederti giust'appunto se ti andava di esibirti per
lo spettacolo di beneficenza della polizia tra un mesetto. Parteciperà anche la
Torcia."
"Solo se sui manifesti
il mio nome sarà scritto più grande di quello della Torcia Umana."
Tossì, sputando un po' di
sangue dentro la maschera. Si fermò un attimo, scostò l'altra faccia che aveva
sopra solo un attimo, il tempo di sputare su un guanto del costume. Non gli
andava di lasciare in giro tracce del suo D.N.A. Riabbassata, riprese a
zoppicare, sostenuto da Rucker. Arrivò ad una sedia rovesciata che il
poliziotto raddrizzò e ci si sedette per rifiatare un'attimo.
"Non erano normali
umani."
"Da come ti hanno
conciato lo credo bene. Ti ho visto malmenare una decina di Killer addestrati,
senza quasi riportare un graffio. Cosa sono questi qui?"
"Questo non lo so.
Direi potenziati con qualche sistema all'ultimo grido. Un cocktail genetico,
una droga d'ultima generazione... fatto sta che forza, velocità e riflessi
erano notevolmente superiori alla media umana. E' stata colpa mia, sentivo che
qualcosa non andava, però ero troppo impaziente... e l'ho quasi pagata con la
vita la mia impazienza. I Jong hanno architettato questa storia perchè mi
volevano prendere in trappola."
"Ora cosa pensi di
fare?"
"Aveva
ragione..."
"Come?"
"No niente. - Liquidò
la frase, continuando intanto a pensare a quello che la moglie gli aveva
detto.- Non posso combattere da solo stavolta, né tantomeno aiutarti da solo...
anche se il mio orgoglio un po' ne soffre. Queste sono bestie assassine, spietati
e determinati nel raggiungere il loro scopo. Non cattivi da operetta con nomi
fantasiosi e costumi sgargianti."
"Direi che mi stai
dicendo che hai bisogno di aiuto... e da chi lo cercherai?"
"Diciamo che ho
un'idea."
Appartamento provvisorio
di Peter Parker, Calsberg street, ore 19.00 p.m. oggi.
Aprì gli occhi e accese la
lampada sul comodino poco distante, si stropicciò gli occhi quando la accese.
Si tirò su a sedere. Ora la ferita gli faceva molto meno male e anche la gamba
andava decisamente meglio. Quando si era allontanato dal campo della battaglia
gli era sembrato di dover morire per quanto male sentiva. Quando giunse a casa
praticamente svenne in bagno. Restò k.o. per almeno un quarto d'ora buono,
mentre il suo efficentissimo organismo provvedeva a rattoppare il rattoppabile.
Il peggio arrivò quando M.J. tornò a casa. L'aveva sentita rientrare, lo chiamò
un paio di volte e lui rispose che era in bagno e si stava lavando. La sua voce
impastata lo aveva tradito. Era salita su in fretta e furia e aveva bussato con
forza alla porta. Alla fine aveva dovuto aprirle. La bambina era da una vicina
con Anna, Dio benedica quella
donna, quindi si risparmiò quello che seguì la mezz'ora dopo. All'inizio con
voce rotta dalla disperazione, si sincerò che le sue ferite non fossero mortali
e che stesse bene. Poi cadde in un'evidente stato depressivo e pianse senza
dire una parola per un po'. Alla fine, tutto quello che aveva sempre represso
per anni, esplose con una ferocia tale da lasciarlo senza fiato.
"Perché?! Cristo santo
Peter, perchè?!?! Devi spiegarmelo, devi dirmelo e non tirare fuori le solite
vecchie motivazioni!!! Tu sei un irresponsabile Peter, no! Peggio!!! Tu sei
pazzo!!! Sì! Ora l'ho capito! Non sei diverso da Osborn, anche tu come lui
ossessionato dal tuo alter ego, anche tu così preso da te stesso che non ti
accorgi di quello che fai!!"
"Ti prego, amore -
aveva cercato di calmarla lui- Capisco quanto sei sconvolta ma tu lo
sai..."
"No!!! Col cazzo!!! Tu
non hai idea neanche di quanto io sia sconvolta! Tu hai la tua maschera dove
nascondi dietro tutti i tuoi problemi, le tue ansie le tue angoscie! Quando
indossi quel costume, che Dio lo stramaledica!, ti togli di dosso la tua pelle
Peter! La tua anima! Il tuo cuore! Io non ho niente del genere. Devo tenere
tutto a chiave quì!- Urlò con vemeenza mentre si batteva il petto con il pugno
destro così stretto che un'unghia le aveva leggermente lacerato la carne. -
Devo rimanere quì mentre tu ti lanci là fuori, nella notte, e fai le cose più
folli e assurde, mentre io aspetto, aspetto di sapere se mio marito tornerà,
non sapendo quello che sta passando e quali orrori porterà con sé quando
attraverserà la finestra della camera! Sono notti che piangi nel sonno, una
settimana ormai! E non è la prima volta! Perchè mi guardi così? Tu i tuoi
incubi non te li ricordi, ma io sì! Chi credi che ti abbracci mentre sei
impantanato in chissà quale terribile visione!? Ogni giorno che passa, il
fardello di cui hai deciso farti carico diviene un po' più pesante, un'altra
mostruosità va ad aumentarne la mole! E quando siamo soli e ti guardo negli
occhi, vedo che c'è così tanta amarezza dentro di te che non so più cosa mi
ammazzerà prima, se quella o l'angoscia che mi sta sommergendo! Mi hai sempre
detto che lo facevi per tuo zio Ben! Che era il senso di colpa per la sua
morte, che lo facevi per Gwen, perchè non avevi saputo salvarla, per suo padre,
George Stacy, per il fratello di Liz, per Jean De Wolf, per Harry che non hai
potuto aiutare. Ho dimenticato qualcuno Peter? Dimmi!! Ho lasciato qualche
spettro fuori, dal circolo di quelli che ti tormentano tutti i giorni della tua
maledetta vita?! Sei così preso ad ascoltare gli echi delle loro voci, che non
senti più quello che ti diciamo noi che siamo rimasti e che ti amiamo, e abbiamo
bisogno di te! Hai una famiglia Peter Parker, per Dio! Possibile che non ti
rendi conto che è questa la tua priorità e che non puoi continuare a fare il
vigilante per espiare colpe che non sono neanche le tue! Non sei un poliziotto
Peter, neanche un pompiere o un vigile o un medico o quello che cazzo ti pare a
te! Sei un adolescente scioccato, che si è nascosto dietro una maschera perchè
sentiva il senso di colpa per la sua presunta inadeguatezza schiacciarlo,
perchè voleva essere qualcuno più forte, più abile, qualcuno che non fosse
perso dietro il dolore, ma potesse riparare agli errori che sentivi aver
commesso. All'inizio era un travestimento, ora mi chiedo chi dei due lo sia! Se
tu o quel maledetto Uomo Ragno!!!!"
La fissava senza proferire
parola, sentendo solo una grande costernazione che non poteva esprimere a
parole lacerarlo dentro.
"Dio incazzati!!!!
Urlami!!!! Rispondimi!!!!"
Le si buttò sul petto,
martellandolo con i pugni chiusi.
"Voglio una reazione
da te! Una che sia tua!!! Voglio vederti rispondermi e non scappare e
nasconderti dietro quell'orrida faccia dagli occhi mostruosi!!!!"
Dormirono separati, lui sul
letto, perchè era in pessime condizioni. Lei sul divano. Aveva telefonato
chiedendo alla zia se la bambina poteva rimanere a dormire da lei quella notte.
Pianse quasi initterottamente e lui era lì, che fissava il buio. Un piccolo
ragno cominciò a calarsi su un filo di tela, lentamente, raggiungendo ad un
certo punto quasi la sua fronte. Si fermò e si studiarono vicendevolmente.
Sembravano attratti l'uno dall'altro. E così cominciò a chiedersi quanto di
umano, oltre alle apparenze, in realtà rimanesse in lui.
Un elegante ufficio a
Manatthan, dove Xiu Jingu ha la sede dei suoi affari puliti. Ore 12. A.M.
"Mr. Weird! E' un vero
piacere averla quì!"
"Anche per me lo è mr
Xiu. Mr. Quest le porta i suoi saluti e spera che quanto prima possiate giocare
di nuovo a tennis insieme."
"Ah, non vedo l'ora
anche io. E' raro trovare un giocatore così bravo tra i non professionisti!
Ricambi pure il saluto quando sentirà il suo datore di lavoro, e gli dica che
mi auguro di poterglieli portare di persona io stesso. Allora, come è andato il
volo?"
"Benissimo. Anche se
hanno dato solo film noiosi. Con quello che costa la prima classe mi aspettavo
di più. Anche lo champagne che ho bevuto era un po' deludente. Ma che ci vuole
fare, le cose non sono più quelle di una volta."
"Come dice bene, mio
caro amico. I tempi cambiano, peggiorano, e per i gentiluomini come lei e me,
diviene sempre più difficile adattarsi al nuovo corso delle cose. Prego, mi
segua, staremo più comodi nel mio studio privato."
Jingo condusse il bel
ragazzo dalla carnagione abbronzata e dai capelli a spazzola, in un'ambiente
semicircolare, le cui parete piatta era una enorme finestra che dava su uno dei
più maestosi spettacoli del pianeta: il frutto della civiltà umana. La parete
opposta invece era ricoperta di specchi, anche la porta da cui erano entrati,
era decorata con uno specchio. Le sette sezioni erano divise tra loro da
colonne scolpite nella parete, che ricordavano vagamente lo stile ionico, anche
se più astratte. Weird alzò lo sguardo e vide il bell'affresco di tema
religioso che ornava il soffitto.
"Bello, vero? Un
artista italo-americano, molto bravo in questo genere di cose. Mi è costato un
po', però ne è valsa la pena. Lei che ne dice?"
Contemplò la teoria di
santi che attorniavano una rubiconda madonna, vestita d'azzurro, che reggeva in
mano un bambino dallo sguardo acuto e colmo di pietà.
"Bellissimo! Scommetto
tuttavia che non vende molto. Ormai questo genere è considerato demodé! Che
idiozia, l'arte vera non è mai demodè..."
"Ha ragione da vendere
amico mio!"
Si diresse verso un'ampia
scrivania di marmo fiorentino, che posava su gambe di faggio squisitamente
scolpite. Estrasse da un cassetto una bottiglia.
"Sono rimasto a corto
di Champagne ma ho un Brandy favoloso. Anche se non è l'ora più adatta per
gustarla la invito comunque a prenderne un sorso."
Prese anche due bicchieri
adatti, sempre da un cassetto, e servì personalmente l'altro.
"Delizioso. - Commentò
quello, dando una rapida occhiata al contenuto della coppa. Odorò un secondo e
poi tornò a guardare su.- Il nuovo ufficio è davvero spettacolare. Dovrebbe
vedere la sede del nostro nuovo show room allestita da mr. Quest. Le piacerebbe
molto."
"Oh, io e il sig.
Quest abbiamo gusti molto simili. Un vero gentleman con il senso dell'estetica
e amante del bello. Propongo un brindisi a lui, ormai non ce ne sono quasi più
di uomini così!"
"Concordo!"
I due alazarono i bicchieri
facendoli tintinnare leggermente uno contro l'altro.
"Ora, se è d'accordo
con me, possiamo parlare delle incombenze d'affari."
"Certamente Mr. Xiu.
Speriamo vivamente che lei sia rimasto soddisfatto dei prodotti che ha avuto
modo di provare."
"Molto! Gli articoli
europei sono strepitosi. Prezzo e qualità sono ottimi. Ci siamo talmente ben
trovati che vorrei ordinare almeno altre 20 casse."
"Molto bene,
accontenteremo quanto prima la sua richiesta. Tra l'altro c'è un vantaggioso
sconto per lei, oppure, se rinuncia allo sconto e aggiunge un cifra pari al
decimo del totale da pagare, le aggiungiamo 5 casse di armi a raggi di nuova
concezione. Si tratta di splendidi esemplari di tecnologia bellica, così
efficienti che quando avrà avuto modo di provarli ce ne ordinerà minimo 50
casse!"
"Ah, mi fido sulla
parola mio caro."
"Grazie signore."
"C'è solo una cosa che
mi lascia dubbioso."
"Che cosa? Se posso
aiutarla."
"Si tratta del
P.O.W.E.R."
"Non ne è rimasto
soddisfatto?"
"No, no! Anzi! Solo
che c'è ancora quell'inconveniente che i nostri tecnici non sono riusciti ad
eliminare."
"Me ne rendo conto.
Purtroppo neanche noi siamo riusciti a risolvere il problema anche se gli
ultimi risultati sulle cavie sono incoraggianti in questo senso. Comunque, il
nuovo siero che ho portato con me come lei ci ha richiesto incrementa ancora di
più le prestazioni dei soggetti a cui viene somministrato."
"Splendido! E
quell'altro articolo?"
"Può visionarlo quando
vuole signore."
"Perfetto! Efficienti
come sempre!"
"Con ogni cliente!
Specialmente con quelli come lei signore. Mi permetta di dirlo, lei è uno dei
nostri acquirenti migliori e tra quelli più stimati dal nostro signore."
"Ne sono lieto.
Potremmo organizzare per stasera, prima di cena. Dopo potremmo andare da
Antoine a mangiare."
"Si può fare. Me ne
occuperò personalmente."
I due si congedarono. Weird
scese in strada dove un Bentley lo aspettava. Jingo guardò dall'alto la
macchina allontanarsi.
Fece un cenno con la mano ed uno degli specchi
cominciò a trasmettere delle immagini provenienti dal laboratorio sottostante
al palazzo.
Quong e Chang erano legati
saldamente al lettino da anelli di metallo. Si agitavano così tanto che
nonostante i tavoli fossero imbullonati al pavimento, tremavano in modo
spaventoso. Sbavavano ed avevano gli occhi praticamente fuori dalle orbite. Le
vene pulsavano paurosamente sotto la pelle, che sembrava bollire. Avrebbero
resistito ancora per poco. Feng aveva ragione. Purtroppo il P.O.W.E.R.
produceva dei super soldati a
breve scadenza. Non valeva la pena sacrificare uomini per cui erano stati spesi
anni di addestramento e di provata lealtà. Tuttavia il soggetto che aveva
scelto per il potenziamento andava benissimo. Avrebbe sicuramente raggiunto lo
scopo. Rise pensando che presto si sarebbe liberato del Ragno.
Sudio della dottoressa
Kafka, ore 20.00 p.m.
"Si, qui dottoressa
Kafka. Ah sei tu? Ho letto i giornali! Come stai? Ti senti... ah, certo
capisco. Come? No, non è qui. Certo! Dovrei sentirlo domani. Cosa? Ah sì,
aspetta un attimo che lo segno. Allora domani a che ora? Si, stai tranquillo.
Glielo farò avere a tutti e due. Non so quando vedrò l'altro ma posso chiedere
a lui se... certo. Si, allora ti saluto e... se hai bisogno di parlare con
qualcuno... si, certo. Comunque quando questo momentaccio sarà passato fammi
sapere, ok? Ciao e... in bocca al lupo."
Attaccò il telefono. La sua
voce era turbata anche se aveva cercato di dissimularlo. Si capiva benissimo
che qualcosa si stava logorando al suo interno. Del resto con tutto quello che
gli era capitato. Se solo avesse potuto parlarci un po'...
Sede del Daily Bugle.
Ora 16 del giorno prima, ufficio di Robbie Robertson.
J.J.J. camminava
nervosamente avanti e indietro, osservato da un preoccupato Robertson. Erano stati
momenti molto difficili il giorno precedente e sapeva che il vecchio,
nonostante tutto quello che potesse dire, ne era rimasto scosso.
"E' meglio che tu ti
sieda, agitarti così non serve a nulla e non ti porterà nulla di buono."
Ignorò il suo consiglio e
continuò ad andare su e giù.
"Non riesco a
crederci! Tutta quella gente, la polizia presente, la security. E quelli hanno
trasformato Broadway in un mattatoio. E' un miracolo che al teatro Fawcet le
cose non siano andate peggio! Avrebbe potuto essere una vera carneficina. Anche
stavolta l'Uomo Ragno è stato visto sulla scena..."
"Jonah! Buon Dio! Non
riprendere con questa storia! Lo sai meglio di me che non c'entra niente. E'
arrivato quando ormai era tutto finito, sai benissimo che tra l'altro è lui che
ha preso quelli che erano scappati, consegnandoli alla polizia. Non pretenderai
di dargli la colpa di tutto."
Inaspettatamente J.J.J. si
fermò, assumendo un'espressione calma e controllata.
"...hai ragione."
Quella semplice risposta lo
lasciò senza parole.
"Stavolta non c'entra
niente. Vorrei sapere allora chi? C'è questa nuova famiglia cinese dedita al
crimine in città di cui si sa pochissimo! Possibile che non ce ne siamo accorti
prima?"
"Jonah, nessuno è
onniveggente, per quanto possa dolerti ammetterlo neanche tu."
"Noi raccontiamo tante
storie alla gente, mi chiedo ora se ci occupiamo di raccontargli quelle
importanti...."
A quell'ultima affermazione
Robbie non seppe rispondere. Poteva solo condividere silenziosamente l'amarezza
del suo amico per quanto era successo.
"Dov'è Parker?"
"Credo con la
famiglia. Dopo quello che è successo."
"Già. Stavolta non ha
neanche fatto foto di quel mostro. No, non preoccuparti, non voglio certo
prendermela con lui! Povero ragazzo, doveva essere una bella serata per lui e
la sua famiglia, soprattutto per la cara Mary. Invece si è trasformata in un
orrore da dimenticare. Il brutto è che potevano andarci di mezzo anche loro. E'
ovvio che sia sconvolto. Più tardi li chiamerò per sentire come stanno... ora
penso sia meglio lasciarli un po' soli. Ne hanno bisogno."
Un bar nei pressi di
Arlan Square. Ore 19 di oggi.
Rookye rimirava il liquido
nel suo bicchiere. Lo spacciavano per vero Whiskey irlandese, anche se dubitava
che avesse mai visto la terra di san Patrizio anche solo da lontano. Mandò giù
un sorso, cercando di riscaldarsi. La pioggia fuori cadeva in modo ormai
ossessivo. Tant'è che la città intera sembrava esserne stanca marcia.
Sembravano destinati tutti ad annegarci. Diverse zone erano state colpite da
black-out. Il tratto della metropolitana che passava per la Lexinghton era
completamente allagato ed il servizio era stato sospeso per diverse ore. Le
strade erano intasate. Mandò giu un altro sorso. Si chiese il ragazzo cosa
stesse facendo. Lo avrebbe chiamato se avesse potuto, magari per sentire come
stava. Ma non aveva un telefono dove contattarlo.
"Allora è così che si
fa Terenzio Oliver Rucker? Si beve senza aspettare gli amici? Sei molto
cambiato Rookye! Un tempo uno sgarbo del genere non lo avresti mai fatto!"
Il poliziotto alzò gli
occhi sulla figura rassicurante che era comparsa al suo fianco e gli si allargò
automaticamente un sorriso sul volto.
"Ciao Arthur! E' un
vero piacere rivederti!"
Ore 05.00 A.M. del
mattino successivo. Località sconosciuta.
Il dottor Klovitz era
seriamente preoccupato. Aveva tutti i motivi per esserlo. A suo avviso stavano
tutti prendendo la cosa con troppa leggerezza. Quelli della Quest INC. erano
bravissimi per quanto riguarda il Marketing. Sapevano sicuramente come vendere
i loro prodotti. Il problema era che, come sapeva bene per esperienza
personale, che il minimizzare o nascondere i difetti di un prodotto non
equivaleva ad eliminarli. Volevano lanciare il P.O.W.E.R. come uno dei loro
prodotti di punta e per questo avevano fatto ai Jong, uno dei loro migliori
acquirenti, dei fortissimi sconti per incentivarli a provarlo sui propri
uomini. A sorvegliare il laboratorio c'erano 10 soldati in suit da
combattimento, Pretorian A-500, un modello originariamente sviluppato in segreto
da Justin Hammer, di cui i loro fornitori si erano impadroniti e che avevano
commercializzato producendola in serie, armati di ND-565-H.V.I.S. latveriani e
ND-565-H.V.I.S. Ravage version., ulteriormente potenziati. Il tavolo era
guardato a vista e il soggetto era monitorizzato da diverse centinaia tra
digicamere, sensori di movimento, all'infrarosso, analizzatori spetterali,
analizzatori molecolari, sonar e quant'altro poteva concepire l'umana
immaginazione. Era lì, immobile, apparentemente calmo. I suoi occhi erano
freddi come il ghiaccio e non riusciva a guardarli per più di qualche secondo.
Sembrava concentrato a tal punto sui suoi pensieri da essersi alienato dalla
realtà. Aveva a lungo letto gli appunti dell'uomo che aveva contribuito a
trasformarlo in quella cosa. In un certo senso l'aveva ricreato, mutandolo in
una feroce macchina assassina, tremendamente efficente, priva di qualsiasi
remora. In un certo senso provava una grande ammirazione per quel suo collega
di cui aveva solo letto e che sfortunatamente non aveva mai conosciuto. E anche
per quello che era il risultato del suo lavoro. Tuttavia non dimenticava che
era stato proprio quello a ucciderlo. Era stato sottoposto già a diversi
interventi di potenziamento che avevano ulteriormente alterato la sua
fisionomia al punto che di umano gli rimaneva davvero ben poco se non la mera
forma esteriore. Aveva espresso i suoi dubbi sia a Mr. Xiu che al
rappresentante della Quest, Mr. Weird. I suoi timori erano stati liquidati in
poche battute. A loro importava solo che assolvesse alla missione per la quale
lui doveva prepararlo. A suo parere la facevano troppo semplice. Per un certo
periodo avrebbero liberato per N.Y.C. un essere che sarebbe sicuramente uscito
fuori dal loro controllo. Il profilo psicologico e le analisi neurali
indicavano concordemente che sperare di farlo attenere a qualsivoglia ordine
era una pura utopia. Era sempre stata una personalità estremamente egoista ed
egocentrica, un cinico d.o.c., il cui unico centro d'interesse erano se stesso
e il proprio benessere, caratterizzato da una sete di potere smodata e da un
desiderio, neanche troppo inconscio, di imporre la propria volontà al prossimo
Un carattere che mal sopportava ordini e imposizioni, distratto,
indisciplinato, rapido all'ira. Negli ultimi anni inoltre il cervello aveva
risentito di tutte le continue mutazioni a cui era sottoposto. La dura madre,
non si sbagliava, si era ridotta rispetto a quella che era la media dei normali
esseri umani. In altre parole, stava instupidendo, divenendo sempre più simile
ad una bestia predatrice. La parte centrale era in iper attività, a discapito
dei centri del linguaggio, della razionalizazione e dell'astrazione. Parlare,
per quel povero disgraziato doveva essere divenuta una vera impresa. Se ne era
reso conto durante i test. Cercava di mostrarsi a proprio agio, come se non
avesse niente, ma la sua voce tremava troppo spesso. Se gli si chiedeva di
rispondere rapidamente si "mangiava" vocali e consonanti, parole
intere, si esprimeva in modo
scoordinato. Scrivere anche gli era egualmente faticoso. Gli aveva, con una
scusa, dato da riempire un foglio, e non era quasi riuscito a decifrare la sua
calligrafia, insicura, stentata, peggio di quella di un bambino che impara a
fare le letterine. Anche il suo apparato percettivo stava cambiando. Cominciava
a non distinguere i colori e presentava problemi anche nel discernere oggetti
piccoli. L'udito si era notevolmente ridotto. Al contrario il tatto era oltre
la media umana di centinaia e centinia di punti. Sugli avambracci erano
cresciute delle escrescenze setolose che servivano ad incrementare la sua
capacità di registrare variazioni di vibrazioni nell'aria. Anche sotto le
piante dei piedi si stavano sviluppando organi per registrare invece le
vibrazioni nel terreno. Se gli avesse dato il P.O.W.E.R. cosa gli avrebbe
fatto? Sarebbe stato come premere l'accelleratore di una macchina con motore
turbo, diretta verso un precipizio. Si deterse il sudore che gli imperlava la
fronte con un panno.
"Allora. Siamo pronti
o no?"
La voce era atona,
glaciale, quasi meccanica. C'era un vago riverbero metallico, come ti corde
vocali che stanno divenendo qualcosa d'altro.
"Si... ora procederemo
a montarle la speciale Suit Sting L-2000. Poi procederemo con il trattamento.
Tutto richiederà un'oretta e mezza, non di più"
Rispose intimorito lo
scienziato.
"Bene."
Un ghigno carico di
bramosia e odio gli defermò il viso.
New York. Un vicolo
sudicio ad Hell's Kitchen. Ore 22.30.
Stava per consumarsi un
odioso delitto. Avevano bloccato la ragazza con delle manette con cui l'avevano
legata ad un tubo dell'acqua che passava esterno. Aveva un vistoso ematoma
sulla guancia sinistra e aveva talmente pianto per la paura da non riucire più
a versare una lacrima. A Jeff e Crock piaceva quella situazione. L'odore della
paura li eccitava, persino più delle grida cariche di terrore e delle suppliche
disperate. In quel mutismo, era celato tutto l'orrore che viveva la vittima che
loro, esperti in quel genere di giochi, sapevano ben riconoscere e apprezzare.
Avevano sempre seguito qualcuno di forte, perchè erano due tirapiedi nati.
Prima Ammo. Che però li aveva delusi perchè si era fatto pestare da quel
coglione in rosso. Poi Kingpin. E sapevano bene che la sua decantata
infallibilità e intoccabilità, si era rivelata una vuota leggenda. Ora, dopo
anni, avevano deciso di tentare qualcosa di diverso. Mettersi in proprio,
formare una loro squadra in cui le uniche regole erano fare quello che gli
andava. Niente più scuse per uccidere, torturare, mutilare. Non erano più
necessarie rapine, se non ogni tanto per procurarsi qualche spiccio, come
paravento per dedicarsi anima e corpo alla violenza. Ora avrebbero potuto farlo
24 su 24, senza interruzioni o quasi, esclusi i pisolini e i pasti. La ragazza
avrebbe inaugurato la loro nuova era di caos e anarchia, poi avrebbero cercato
qualcosa di più raffinato. Magari un paio di bei bambini. Crock si tirò giù la
zip dei jeans logori, intanto Jeff, con un coltello, le apriva la minigonna.
Crock sorrideva come un ebete, gongolante nell'attesa di potersi divertire un
po' prima di tagliarla a fette. Jeff si girò per invitare l'amico a farsi
sotto. Jeff guardò le omrbe che stavano lì dove un'attimo prima c'era il suo
amico e socio. Qualcosa di viscoso e freddo gli si avvinghiò attorno alla mano,
strappandogli un urlo. Cercò subito di liberarsene ma si era indurito e gli
sembrava più duro del cemento. C'era un filo attaccato a quel bandolo che
sembrava uno zucchero filato grigio metallico che gli aveva intrappolato la
mano. Qualcosa evidentemente lo teneva dall'altra parte del vicolo e tirò
all'improvviso. La sua faccia sbattè contro qualcosa di duro, del sangue
fuoriscì dal naso e dal labbro superiore che si era spaccato. Aprì gli occhi,
stordito e tremante. La prima cosa che lo colpì fu il non udire nessun suono,
solo quello della pioggia battente. Un'altro silenzio. Sempre carico di paura.
Stavolta la sua. Sudò freddo. Non c'era nessun ansimare, nessuno scricchilio,
niente di niente. Poi qualcosa s'avanzò, emergendo dalla tenebra. Crock era
sospeso da terra. Sollevato di un metro, sorretto da una mano, anzi da un dito,
attaccato alla sua schiena. Un uomo di 160kg che sembrava un pupazzo di stoffa
nelle mani di quella creatura. La luce intermittente di un lampione mezzo rotto
colpì qualcosa che luccicò. Un immenso, grande occhio di specchio. Un occhio
che lo scrutava senza espressione. Un occhio in cui ora vedeva solo la sua
stessa paura.
Marta pregava il signore.
Pregava che la portasse via di lì. Che la facesse anche morire purchè le
risparmiasse quell'angosciante attesa. Attesa per un dolore che avrebbe non
sono straziato le sue carni, ma lacerato la sua anima, umiliandola,
sporcandola, riducendola solo ad un giocattolo. Non voleva guardare, non voleva
sentire, voleva solo isolarsi. Per questo ci mise un po' a rendersi conto che
le manette erano state rotte. Che qualcuno le parlava. Una voce che cercava di
bucare il rumore della pioggia che cadeva rabbiosa sulla strada, trascinando
via fanghiglia e sporco, infradiciandola completamente.
"... ad un ospedale.
Lì si prenderanno cura di te. Starai meglio vedrai."
Come era strana la sua
faccia, vista in quei grotteschi occhi, come delle lenti che deformavano la
realtà , mostrandone gli aspetti più buffi e orripilanti. Come era dolce e
gentile la sua voce, mentre ostentava un tono sicuro che non gli apparteneva,
cercando di farle credere la sciocchezza che tutto sarebbe stato come prima.
"Perchè sei arrivato
solo adesso?"
Non c'era recriminazione,
né ingratitudine, né odio nelle sue parole. Solo semplice e innocente
curiosità. Per questo scardinò le barriere del suo cuore, gettandolo in
un'abisso di rammarico. La abbracciò, la tenne stretta al petto. Le mormorò:
"Non succederà più...
te lo prometto."
Bar in Arlan square, ore
21. Parecchi drink dopo.
"Cazzo Arthur, c'era
un tempo in cui per scolarti cinque birre impiegavi 10 minuti netti!"
"I tempi cambiano
Rookye!", rispose Stacy, mentre cercava a fatica di buttare giù un'altro
sorso.
"Adesso arrivo a
malapena a due e ci impiego due ore come hai potuto vedere."
"Ahahah, stai
invecchiando amico mio!"
"Sono invecchiato! Ma
anche tu non scherzi sai?"
"Si, ma ho ancora
conservato il mio proverbiale fascino di bel tenebroso, anzi, direi che con il
passare degli anni è persino aumentato. Ormai le donne cadono ai miei piedi con
un solo sguardo."
"Certo, nei tuoi sogni
più arditi."
I due risero di gusto.
"Accidenti, mi sei
mancato vecchio mio. Era un po' che sentivo il bisogno di farmi un bevutina con
te."
"Anche io. Mi ricorda
i tempi felici. Quelli si che erano bei giorni. Sempre noi quattro. I
moschettieri ci chiamavamo, ti ricordi?"
"E come no! Eravamo
anche il miglior quartetto vocale della scuola, oltre che la migliore squadra
di bowling del quartiere. Sai, qualche giorno fa, ripensavo a quella volta che
dopo la partita, come si chiamava, Lester Sharp, il bullo, mi cercò per
pestarmi. Non gli era andato proprio giù che avessi segnato il punto della
vittoria. Il bastardo era un carroarmato di carne, pesava 100 kg per 1.80 di
cattiveria. Mi aveva preso per il bavero e stava per mazzolarmi per bene,
quando George arrivò. Mi era venuto a cercare per restituirmi l'asciugamano che
gli avevo prestato, e si precipitò
come un falco sul tipo. Lo stese con uno dei suoi memorabili destri. Avrebbe
avuto una carriera sicura come pugile lo sai?"
"Avrebbe avuto una
carriera sicura in molti campi. George aveva un gran cervello."
"Già. Scommetto che ti
manca ancora molto eh? Manca anche a me. Alla sua salute."
"Alla salute di
Georgy."
I due bicchieri si
scontrarono leggermente, facendo tremare il contenuto all'interno.
"Mi manca molto, sì.
Mi manca anche mia nipote, Gwen."
"La piccola Gwen. Se
ripenso a come è andata. Signore onnipotente, quella ragazza avrebbe dovuto
essere ancora quì tra noi. Avrebbe dovuto seppellirci lei. Invece quel maniaco
mascherato..."
"Ti riferisci al
verdone vero?"
"Andiamo, lo sai come
la penso su testa di tela. Devo ammettere che è un personaggio dai tratti
inquietanti delle volte, però sappiamo bene tutti e due che è sempre stato
dalla nostra parte. Non ha mai ucciso nessuno, neanche quel bastardo del
Mangiapeccati, e se lo sarebbe meritato, figurati se avrebbe mai fatto
volontariamente del male ad una persona innocente. Ha rischiato la vita talmente
tante volte per difendere anche chi lo denigrava."
"Eh tu lo sai
bene."
"Condivido le opinioni
di George. Sai, sono convinto che in un qualche modo, fosse venuto a sapere
dell'identità del Ragno."
"Dici?"
"L'ultima volta che
parlai con lui, non accennò alla cosa direttamente. Però, ero riuscito a fargli
dire qualcosa che mi aveva fatto pensare in tal senso. Comunque, era troppo
intelligente per non avere qualche sospetto."
"Tu invece? Hai
qualche idea?"
"No. Neanche mi
interessa sapere chi sia. Mi basta che faccia parte dei buoni. Anche se non so
fino a che punto questa definizione va bene per noi."
"Ho saputo dei tuoi
guai con la commissione interna. Mi dispiace."
"Rischi del mestiere.
Ho fatto fuori parecchia gente per loro. Non hanno tutti i torti. Anzi, hanno
tutte le ragioni, ho effettivamente sbagliato molti calcoli e questo mi ha
portato al punto in cui sono ora."
"Quando ci si imbarca
per la guerra è sempre così"
"Niente lavoretti
facili e puliti eh? Solo sporco e sangue."
"Proprio così.
Amen."
Arthur prese un'altra
sorsata della sua scura. Bevve con avidità, poi tornò a guardare l'amico.
"So che ci hai
parlato. Lo hai incontrato. Hai anche collaborato con lui."
"Sono lieto di vedere
che la tua rete di informatori funziona bene Art! Non ti si può nascondere
niente. Neanche tu comunque sei stato con le mani in mano vero? So che ci hai
avuto direttamente a che fare parecchie volte."
"Non lo nego. E' un
bravo ragazzo. Un tipo in gamba."
"Si. Lo ammiro molto.
Ma c'è qualcosa in lui..."
"Sì?"
"Una sofferenza che si
porta sempre dietro. Ovunque vada, qualunque cosa faccia, sono sicuro che sia
sempre con lui. Anche quando scherza, sparando battute nel corso di uno scontro
con dei criminali, so che è come se tenesse su uno schermo, per proteggersi.
Qualunque cosa sia, deve essere la molla che lo ha spinto a diventare quello
che è."
"Tutti ci portiamo
dentro qualcosa che ad un certo punto, ci ha fatto prendere le decisioni che
abbiamo preso."
"Spero solo che lui
non si penta delle scelte che ha fatto. Sarebbe una grave perdita per
noi."
"Eh si... ora però,
passiamo agli affari. Ho con me la roba che ti serviva."
"Perfetto. Sei unico
Art."
"Lo so, lo so."
"Andiamo a casa mia,
li staremo più tranqulli."
Terenzio tirò fuori il
portafoglio, e ignorando le proteste dell'amico che voleva offrire al suo
posto, saldò il conto e lasciò una generosa mancia. I due si diressero verso
l'uscita.
"Allora Art, come
stanno i tuoi ragazzi...?"
Casa Osborn. Ore 16.00
di oggi.
"Nonno, nonno! Guarda
cosa ho fatto!"
Il piccolo Normie mostrò
orgoglioso al nonno il risultato delle sue fatiche con i mattoncini Lego. Era
una bellissima astronave, con la quale, nella sua fantasia, il piccolo avrebbe
potuto girovagare felice per le stelle in cerca di avventure. Dentro di sé
avrebbe tanto voluto che anche il nonno venisse con lui. Norman, intento sul
suo computer, prestò poca attenzione al nipote. Quello che era accaduto a
teatro l'aveva sconvolto. Stava cercando, mediante tutti i suoi canali, quelli
normali e quelli particolari, informazioni sull'omicidio di Gambino. Quando era
stato Goblin, un paio di volte aveva trattato di persona con il vecchio
mafioso. Non era certo un tipo d'uomo che si sarebbe potuto definire santo, ma
tra tutte le bestie che aveva conosciuto nell'ambiente della criminalità lui
forse era una delle più umane. Il rumore dei proiettili ancora gli risuonava in
testa, così come la sensazione che gli dava lo scorrere dell'adrenalina nel
sangue. Si era sentito impotente nel non poter agire. Ma in un certo senso era
stato meglio così. Ormai non possedeva più nessuna facoltà paraumana. Era un
comune uomo di mezza età. Provò un brivido lungo la schiena. Perchè pensare a
se stesso come ad una persona normale lo faceva sentire così? Che fosse stata
quella la molla, anni prima, quando accadde l'incidente... una fitta di dolore
gli attraversò il braccio, quando allungò la mano per prendere il mouse. Sentì
i tendini ed i muscoli torcersi come se qualcuno, dall'interno, li avesse
stretti con una tenaglia e avesse cominciato a girare. Portò il braccio
dolorante al petto e gemette penosamente. Il piccolo corse da lui, lasciando
cadere il frutto delle sue fatiche, che toccando il tappeto, perse diversi
pezzi.
"Nonno! Nonnino! Come
stai? Che hai?"
Norman, il cui dolore si
era improvvisamente calmato, proprio come improvvisamente era comparso, si
voltò verso il nipote per rassicurarlo. Si trovò a guardare un volto disperato,
rigato dalle lacrime, con gli occhi sbarrati, ricolmi di terrore.
Realizzò solo allora quanto
aveva dovuto sopportare. Liz gli aveva raccontato di quando vide sue padre alla
Volta, con addosso quella speciale camicia di forza, con il cervello ormai
devastato dal siero del Goblin. Chissà quante volte Harry, il suo Harry, aveva
di colpo cambiato umore difronte al figlio, urlandogli contro infuriato magari
per una sciocchezza. O quante volte, preso dalle sue macchinazioni, lo aveva
ignorato, mentre lui cercava solo l'attenzione e l'affetto del papà. Quante volte
l'aveva fatto lui stesso? Quante? Tutte le volte che si era girato dall'altra
parte, tutti quei silenzi. Le sue alzate di spalle con aria di sufficenza
quando lui cercava la sua approvazione, o tutte le volte in cui lo aveva
umiliato, deriso, pensando di fortificarlo nello spirito, mentre invece
piantava in lui i semi dell'odio e della solitudine. Era lui che l'aveva fatto
diventare un tossicomane prima, e un criminale completamente folle dopo. Lui,
lui e solo lui. Ed ora? Stava facendo lo stesso con il nipote? Gli aveva tolto
lui il padre. Lui aveva ucciso il sangue del suo sangue, perchè lo aveva
infettato con il suo nero e tetro male. Si chino di scatto verso di lui e lo
abbracciò.
"No, no piccolo. Non
c'è bisogno che tu pianga. Al nonno è venuto solo un crampo. Uno stupido
crampo. Sono stato troppo quì davanti al computer a fare inutili giochetti e
quando ho mosso il braccio... ma ora va bene vedi? Va tutto bene."
Ruotò il braccio, esibendo
un grosso sorriso, ignorando il leggero doloretto che ancora aveva. Il piccolo
sembrò calmarsi, poi posò la sua testa sulle sue ginocchia.
"Nonno... tu... non
stai... male?"
"No, te l'ho
detto..."
"...non... non sei
come papà?"
Rimase a bocca aperta.
Scendette dalla sedia, mettendosi in ginocchio. Se lo strinse forte al petto.
"Scusami.
Perdonami."
"Per... per cosa
nonno?"
Per aver ucciso tuo padre,
avrebbe voluto dirgli.
"Per averti
spaventato."
Per essere un mostro
ignobile, avrebbe voluto aggiungere. Per aver portato te e tua madre in un
abisso di follia. Per aver condannato mio figlio alla stessa sorte.
"L'importante é che tu
stia bene ora nonno."
Osborn si asciugò alcune
lacrime che erano scese lungo le guance.
"Ehi nonno! Ma che
fai, piangi anche tu?" lo canzonò il nipote, che ora sorrideva di nuovo.
Anche lui cominciò a ridere. Poi si alzò e si diresse laddove era caduto il
giocattolo del nipote.
"Accidenti. Guarda quì
cosa ti ho fatto combinare."
"Posso... sempre
rifarla... non preoccuparti."
"No. Possiamo rifarla...
insieme. Se ti va?"
Normie cominciò a fare
salti di gioia, dopo esser rimasto qualche secondo incredulo a fissarlo.
"Certo! La faremo
cento volte, no mille volte più bella di prima! Con te verrà benissimo, perchè
tu sei bravo vero nonno?"
"Tu sei bravo,
campione."
Liz, appoggiata alla parete
vicino all'ingresso, aveva sentito tutto. Stava piangendo. Non sapeva se per la
tristezza o per la gioia.
Nessun luogo, tutti i
luoghi. Ora, quella che più vi fa piacere.
Il cielo aveva i colori
dell'arcobaleno e una dolce brezza carezzava il suo volto, scompigliandole
leggermente i capelli.
Papà?
Si bimba mia, dimmi
tutto.
Cosa c'è più su?
Più su di dove?
Del cielo!
Altro cielo.
E dopo?
Altro cielo ancora.
Si, ma dopo dopo
dopo, super dopo, ancora dopo?
La Luna, le Stelle,
il Sole.
Tu ci sei mai stato?
Tante volte, con la
mia immaginazione. E tu?
Anche io! Sai che mi
piacerebbe tanto prendere una stella.
Che ci faresti?
La metterei sulla
porta di casa.
E perchè?
Perchè... la sera
così, quando torni dai viaggi... sai sempre dove è casa... e non ti perdi.
Pensi che potrei mai
perdermi?
Il... babbo di Janet
l'ha fatto...
Ah! E come è
successo?
Non so bene... ma mi
ha detto che un giorno... un giorno è uscito di casa... aveva strillato tanto
con la mamma e... non era più tornato.
Credi che potrei
farlo anche io? Potrei... perdermi così?
L'altro giorno, ho
sentito che tu... tu e la mamma...
Capisco. Ma vedi
amore mio, delle volte capita che le persone litighino un po'. Però poi si può
sempre fare pace.
Tu e mamma l'avete
fatta?
Tutto dimenticato.
Siamo di nuovo felici come al solito.
Yeppe!!! E'
bellissimo babbo, sono contentissima!
Vieni qui, allora dai
un bell'abbraccio al tuo papà! Sai una cosa?
Cosa papà?
Non potrei mai
perdere la strada di casa... perchè io di stelle ne ho due che mi indicano
sempre il cammino.
Davvero? E dove sono?
Una è qui davanti a
me. L'altra ci sta preparando le frittelle, e se non ci sbrighiamo a correre
dentro...
Se le mangia tutte
lei!
Eh si! Corri dai!
Corri! Ahahah vediamo chi arriva prima! Hey ma così non vale! Sei corri troppo
svelta...
"Dio santo Ilya, mi
dispiace davvero. Davvero tanto sai?"
Singhiozzò Rachel, che non
riusciva a trattenersi dal piangere ancora.
"Avrei dovuto fare
qualcosa. Fare di più. Forse non staresti qui ora. Ma perchè? Dio mio perchè?
Tu proprio non te lo meritavi sai? No. Non tu, non la mia piccola dolce Ilya.
Se sapessi cosa non farei per portarti fuori da lì, ovunque tu sia. Vorrei
tanto averti vicino a me, ora. Hai portato tanto calore nella mia vita. Ero
tanto sola sai? Adesso che ti ho trovata, non è giusto che finisca così. Torna
ti prego... torna..."
Si coprì il volto con le
mani e lasciò che il suo dolore venisse fuori, in tutta la sua dolorosa
estensione.
Magazzino 21. Porto. Ore
02.00 A.M.
La pioggia l'avvolgeva
tutto, come un liquido manto, infradiciandogli il costume, cercando di
penetrare dentro, quasi volesse soffocarlo. Era passata una settimana da quando
tutto era iniziato ed ora si ritrovava più o meno al punto di partenza. Dopo
aver portato quella poveretta all'ospedale, aveva cercato inutilenete Devil.
Non lo aveva trovato. Disperato, si era rivolto anche ad un tizio che sapeva
scucirgli ogni tanto delle informazioni e, invece di avere notizie del suo
amico, era venuto a sapere del porto. I Jong stavano scaricando una partita di
armi. Stava attaccato alla parete di un edificio leggermente più alto, sul lato
destro del magazino, e guardava dentro da una piccola finestra situata ad un
paio di metri da lui. Era avvolto dall'ombra e quindi da dentro non potevano
vederlo, almeno così sperava. Lui al contrario vedeva tutto benissimo. Non
riusciva a concentrarsi come avrebbe dovuto. Rivedeva ancora e ancora
l'espressione di vuota disperazione sul viso di quella poveretta che aveva
aiutato. Aiutato! Si chiese se avrebbe potuto arrivare prima, impedire che quei
due... ma si rispose che non era possibile. Anzi, era un vero miracolo che si
trovasse a passare di lì in quel momento. Rucker aveva ragione, non poteva
farsi carico di tutte le colpe dell'universo, almeno non di quello che non
erano le sue. Tuttavia quelle immagini pesavano come un macigno sulla sua
coscienza, così come quella di Ilya... la povera piccola Ilya. Una vita forse
spezzata per sempre, per colpa di feroci bestie senza né anima né cuore che in
una sera avevano per sempre cambiato il suo destino. Quando arrivò in ospedale,
incontrò Rachel, la sua amica, in preda all'isteria. Pianse a lungo mentre lui
cercava di calmarla, di infonderle la speranza che tutto si sarebbe aggiustato,
che la sua amica sarebbe stata di nuovo bene. Ma si chiese, in cuor suo, se
speranza ve ne fosse davvero. Sotto quel cielo oscuro, che minacciava di
divorare tutto, gli sembrava improbabile che vi fosse salvazione per chi che
sia. No! Si ribellò a quel pensiero. Non era da lui. Per quanto potesse
sembrare disperato tutto quanto, per quanto oscuro potesse essere il sentiero,
non poteva perdere la speranza, altrimenti sarebbe stato travolto. Il pensiero
andò a Mary Jane e a May. Doveva parlare con sua moglie, parlare davvero.
Chiarire tutti i dissensi che c'erano stati tra di loro. Chiederle scusa e
soprattutto, cercare di esserlo più vicino. A lei e a sua figlia. Aveva ragione
quando l'accusava di trascurarle. Non poteva rinunciare alla sua missione, era
suo dovere andare avanti. Non solo per zio Ben, ma per tutte le persone che
contavano su di lui. Però doveva imparare a non far sì che questa divenisse una
scusa per giustificare la sua incapacità di dedicare le giuste attenzioni ai
suoi cari. Sospirò. Se Devil fosse stato lì con lui... parlare ad un vecchio
amico gli avrebbe fatto bene. Rispettava molto Matt, sapeva quello che aveva
passato e come, anzichè sprofondare nell'autocommiserazione, si era erto contro
le avversità e aveva reagito. Non una, ma più e più volte. Anche parlare con
Rucker gli sarebbe piaciuto... era una persona che doveva aver egualmente
passato dei brutti momenti, perchè ne aveva proprio l'aria. Tuttavia non si era
arreso, non aveva mollato.
Due tizi estrassero da una
cassa un paio di valigiette grigio metallizzato. Dopo aver maneggiato con
quello che sembrava un piccolo pannello numerico posto al lato di esse, si
aprirono rivelando il loro contenuto. Erano le armi ad impulso latveriane che
aveva già visto in azione. Quelle di cui Rucker gli aveva parlato. Si chiese
quante ce ne fossero dentro la cassa. Fece un rapido calcolo mentale, tenendo
conto dello spessore delle valigette e dell'altezza e larghezza della cassa. Ad
occhio e croce 20. C'erano altre 15 casse. Questo era tutt'altro che bene,
pensò. Immaginò quelle armi in giro per le strade della sua città. La cosa non
gli piacque minimamente. Aveva visto cosa potevano fare. La polizia sarebbe
stata impotente. Si sarebbe dovuto, come minimo, chiamare l'esercito. Sarebbe
comunque stata una carneficina. La pioggia cominciò a cadere più fitta e
veloce. Non aveva tempo. Là dentro c'erano una trentina di uomini. Avrebbe
dovuto farcela. A patto che non fossero potenziati come i cinque contro i quali
si era battuto ieri. Per l'evenienza si era premonito. Aveva installato i
dispositivi di lancio per le tele ad impatto e pungiglioni carichi di
anestetico. Sperava che Ben non gliene volesse. Realizzò che gli mancava molto,
che avrebbe voluto incontrare sia lui... sia Kaine. Spesso aveva pensato con
disagio ai suoi due duplicati, quasi due Dopplenganger creati dalla mente
perversa di un moderno stregone. Ma ora, negli ultimi giorni, si era domandato
quanto avessero sofferto a causa di quello che avevano subito, quanto per loro
fosse difficile trovare il proprio posto nel mondo, sopratutto sapendo che lui
esisteva. Un chiarimento ci sarebbe dovuto essere, anche con loro. No. Una
bevuta, una sera al bar, come quando andava con i poveri Flash e Harry. Una
serata per loro tre... tre amici... tre fratelli.
Il primo colpo di
pungiglione lo sparò in modo che, puntando uno degli uomini dentro, spaccasse
una lampada sulla sua traiettoria. Quasi contemporaneamente al crash, il
bersaglio cadde a terra svenuto, fuori combattimento per almeno mezz'ora buona.
Quasi tutti si girarono spaventati, tranne alcuni, evidentemente uomini
addestrati, che avevano a malapena guardato con la cosa dell'occhio. Purtroppo
tra loro c'erano i due che stavano esaminando i due fucili ad impulso.
Spararono una raffica in direzione della parete con la finestrella che dava
sulla costruzione di fronte. Il cemento venne forato come carta velina e i
proiettili passarono con altrettanta facilità l'altra struttura, facendosi
largo tra altro cemento e tubi di ferro e acciaio. Nulla.
"Che brutto casino eh?
Fareste meglio a controllare che le vostre assicurazioni possano coprire i
danni."
Si girarono all'unisono e a
loro si unirono altri sei elementi che avevano estratto uzi e riot shot guns.
La tempesta di piombo passò quando lui era già sparito. Altre due lampadine
esplosero, l'ambiente era divenuto più buio. Uno dei due armati di F.I. cominciò
a guardarsi intorno.
"Tu tieni d'occhio il
soffitto." ordinò il cinese al compare.
Gli altri, i più non
appartenenti all'elite dei Jong, erano spaventati mentre girando su se stesso
gli puntava contro la canna della letale arma. Gli altri del suo gruppo invece,
rimanevano freddi e impassibili.
"Spero anche che la
vostra assicurazione medica copra le cure a cui dovrete sottoporvi..."
Una sventagliata di colpi
passò pochissima distanza da uno degli aggiunti che si pisciò nei pantaloni
mentre stringeva spasmodicamente a sé la sua arma e teneva gli occhi chiusi e
le mascelle serrate.
"... dopo che vi avrò
pestato ben bene."
Era veloce, in modo
disumano, e non era un pivello. Glielo avevano spiegato quando gli avevano
fatto studiare quel dossier sui super esseri di New York. Quel corso a cui lui
e i soldati di livello superiore si erano sottoposti si era rivelato utile.
Almeno sapeva con chi aveva a che fare.
"Uomo Ragno. Ascolta,
so che sei tu. Ho riconosciuto il tuo ridicolo costume.- Gli urlò in americano-
Tutto quello che noi vogliamo è uscire via di quì, con il nostro carico. Non è
nostro compito ucciderti."
"Ah, ne sono lieto.
Del resto non credere sarebbe così semplice. Ci ha provato gente migliore di te
prima."
"Si, so anche questo.-
Ribattè quasi con indifferenza- Tuttavia c'è un'altra opzione."
"Quale sarebbe. Resa
incondizionata?"
Commentò in tono beffardo.
"No."
All'improvviso aprì il
fuoco sul ragazzo che poco prima aveva mancato di un soffio, dividendolo
letteralmente in due.
Trattenne il fiato per
alcuni istanti, accovacciato nell'oscurita. Lo spettacolo era stato
orripilante. Non riusciva a credere ai propri occhi, né capire perchè.
"Non sono pazzo. Sono
solo molto determinato a completare il mio lavoro. Ho un carico da consegnare.
Usciremo di quì, con le nostre armi. Altrimenti, te lo assicurò, farò fuori
tutti i miei uomini."
Non rispose subito. Sentiva
qualcosa urlare furioso dentro il suo petto. Quello che aveva fatto superava di
molto il limite.
"Sta bene. Puoi uscire
di qui."
"Ho la tua parola?"
"Sì."
Non poteva rischiare che
sparasse ad altri. Parte della sua compagnia era terrorizzata a morte. Sapevano
che non era una minaccia a vuoto. Undici di loro, compreso l'assassino, erano
calmi. Dovevano essere uomini di fiducia. Gli altri erano poco più che aiuti
per fare numero.
"Molto bene Uomo
Ragno."
Senza dire nulla, con un
raffica, decapitò un altro che si trovava alla sua destra. Un poveraccio che si
era buttato in ginocchio e pregava, forse il Bhudda, forse qualcos'altro.
"Bastardo!"
"Era solo per
confermarti che non scherzo."
Impartì ordini secchi e
concisi. I compagni del suo gruppo si occuparono di caricare le casse su
piccoli furgoni. Tre in tutto, Renault, mentre agli altri intimò di rimanere
fermi per fare da bersaglio. Misero in moto, e uscirono in fila indiana.
Dall'ultimo veicolo della fila, dal finestrino, spuntò il capo che aprì per la
terza volta il fuoco. Stavolta aveva mirato in modo da amputare il braccio ad
un altro.
L'Uomo Ragno uscì dal suo
nascondiglio. Corse da quello e, usando come aveva già fatto la sua tela come
un improvvisato bendaggio, cercò di bloccare l'emorragia. Urlò agli altri di
rimanere lì ad aspettare la polizia. Gli disse che ormai era finita, che i Jong
non gli avrebbero mai lasciati in vita riprendendoli nell'organizzazione.
Dovevano arrendersi e costituirsi. Non sapeva se lo avessero capito o meno. Di
fatto non si mossero. Tranne un paio che cercarono di prestare soccorso
all'amico ferito.
Si proiettò in alto,
uscendo da un'altra finestra. Saltò da un tetto all'altro, seguendo la strada
dove erano passati. Si dirigevano verso la città vera e propria. Con balzi
poderosi e precisi, riuscì in breve a raggiungerli. Spiccò un salto che lo
portò ad atterrare sul tettino dell'auto di centro. Quasi contemporaneamente da
dentro spararono, riducendo il tettino in questione in una massa di schegge di
metallo che in grandissima parte volò sull'asfalto. Si portò sull'auto di coda,
sul cofano, che si incurvò leggermente per effetto della forza cinetica
accumulata in quel movimento. Mentre si trovava a mezz'aria si era voltato, per
fronteggiare gli occupanti. Il senso di ragno gli fece schivare un paio di
proiettili a velocità normale che aveva forato il parabrezza. Lui, in risposta,
esplose una tela ad impatto che, toccato il vetro, esplose, avviluppando tutta
la cellula dell'auto. Cominciò a sbandare vistosamente, e dopo aver corso il
rischio di finire in acqua andò a sbattere sul muro di un magazzino, dall'altra
parte. Prima di ciò si era di nuovo lanciato verso il veicolo davanti a sé,
stavolta aderendo al portellone della zona posteriore. Anche stavolta uno
sciame di pallottole cercò di strappargli la vita, anche stavolta invece si
trovarono a fendere solo l'aria. Si trovava sulla fiancata che guardava il
mare. Approfittando di un attimo che avevano rallentato per svoltare, puntò a
terra i piedi, facendoli aderire alla strada. La Renault si trovò così
bloccata, come se fosse stata incollata. Prima che dentro tentassero qualche
reazione, sollevò l'autovettura, scaraventandola in acqua. Sarebbero usciti,
sicuramente, ma ci avrebbero messo un po' a uscire. Questo gli avrebbe dato il
tempo di occuparsi dei compari che erano rimasti dietro. Corse con uno scatto
che non era da essere umano, ma era quello di una buona moto sportiva. Muscoli
alterati, lo spinsero con una potenza d'accelerazione pari a quella di un'auto
da corsa. Piombò su i tre che erano usciti come un uragano. Nella pioggia la
visibilità era ridotta. Non per lui. Sapeva come evitare i pericoli e anche
come colpire. Eseguì una spazzata, facendo cadere a terra il primo dei suoi
bersagli e bloccandolo con un po' di tela tradizionale. Il secondo lo prese
alle spalle, agganciandolo con le dita sulla schiena, si lasciò cadere
all'indietro atterrando in modo da non farsi nulla, come aveva imparato a fare
nel corso degli anni, ed usando la forza stessa del movimento per scagliarlo un
paio di metri indietro. Anche lui lo impacchettò per bene. Rimaneva l'ultimo.
L'assassino feroce che aveva trucidato a sangue freddo quei poveracci. Gli
comparve dinnanzi all'improvviso, come uno spettro dall'inferno.
Quell'improvvisa apparizione gli strappò un urlo. Sparò quanto rimaneva nel
caricatore. Di nuovo scomparso. Lasciò cadere a terra l'arma, estraendo dalla
fondina ascellare un'automatica. Girandosi, se lo trov_f2 di nuovo di fronte.
Gli tolse la pistola di mano prima ancora che lui avesse tempo di accorgersi
dell'accaduto. Si sollevò di terra di un metro buono, ruotando su se stesso,
cercò di abbaterlo con un calcio. Prese solo aria. Atterrando stava per
scivolare sul bagnato ma mantenne l'equilibrio. Di nuovo niente.
"Allora. Come ci si
sente quando non sai da dove arriverà la tua fine?"
"Non imbrogliarmi
Ragno! Tu non uccidi. Lo so bene."
"Vero. Niente mi
impedisce però di farti molto male. E credimi lo farò. Allora. Come ci si sente
a non sapere da dove arriverà il prossimo colpo. Se ti prenderà o meno?"
Sentì un movimento
rapidissimo davanti a sé. Si ritrovò le nocche di un pugno guantato di rosso
appoggiato alla tempia sinistra. Prese fiato e cercò rapidamente di colpire in
modo da rompergli il braccio. Niente.
"Brutto vero? Questa
sensazione di impotenza di fronte all'inevitabile. E' così che si dovevano
sentire quelli che hai massacrato là dentro."
"Sapevano i rischi che
correvano! Credi che siano dei poveri sprovveduti quelli lì? Molti di loro
hanno ucciso, Ragno! Non fare la morale quindi, non sono agnelli. Sono lupi! E
nel nostro branco, se serve, sono carne sacrificabile. Questo loro lo sanno
bene!"
"NO!"
Scattò nella direzione
della voce. Una velocissima sequenza di pugni cercò di colpirlo. Li parò tutti,
scansandoli con una sola mano. Urlò di frustrazione ma sentì qualcosa che gli
bloccò il polso. Prima di poter anche solo tentare di liberarlo, un'altra morsa
gli si strinse intorno alla gola. Una leggera pressione e quasi svenne.
"Ora, tu, come loro,
sei inerme. Dimmi? Devo ucciderti? In fondo non sei un santo neanche tu. Sei un
assassino, un fottuto maledetto assassino. Dimmi dunque, devo ucciderti?
Scommetto che sei di quelli che la morte non la temono. Addestrato a resistere
fino all'ultimo. Dunque, maiale maledetto! Devo ucciderti o no?!"
In risposta udì solo i
singhiozzi di un bambino umiliato da un'avversario troppo forte per essere
battuto. Quando mollò la presa, lo vide crollare a terra come un sacco di
stracci. Immobilizzò anche lui. Poi si recò dagli altri, legando anche loro.
Chiamò la polizia. Se ne sarebbero occupati loro. Per quella notte il suo
lavoro era finito. Domani avrebbe avuto tutto il tempo di rintracciare il
segnale delle spie piazzate sulle due casse e sul primo furgone che era
fuggito. Li avrebbe trovati. Presi nel loro stesso covo. Un altro scontro.
Stavolta però alle sue regole.
Laboratorio dei Jong. Ore 06.30. A.M. di domani.
"Signor Weird, che ne
pensa del nostro campione? Non lo trova interessante?"
"Notevole. La suit
commisionataci gli va proprio a pennello. Renderà la sua apparizione più
terrificante di quanto non lo
fosse già. Senza contare che aumenterà notevolmente il suo potenziale
offensivo."
"La vostra tecnologia
difatti è la migliore, signor Weird. Senza dubbio."
"Sarà un buon lancio
per uno dei nostri primi prodotti all made by Quest. Finora abbiamo
commercializzato tecnologia sviluppata da altri. Non credo che ci dedicheremo
mai alla produzione su larga scala di prodotti originali, solo pezzi su
ordinazione e per clienti speciali, come lei signor Xiu."
"Ne sono lieto! Ah,
ecco il professor Kloviz. Il nostro genio scientifico. Allora buon dottore,
siamo pronti?"
"Certo signore."
Avrebbe voluto ancora
protestare per quanto stavano per fare. Il siero agiva sviluppando il
potenziale latente degli individui in cui veniva somministrato. La velocità e
la portata dei cambiamenti dipendevano molto dal soggetto. L' R.N.A. super
conduttivo di cui sembrava dotato, avrebbe reso i cambiamenti praticamente
istantanei. Soprattutto la portata di questi sarebbe stata terrificante.
Sperimentare un simile prodotto su un paraumano come quello, senza mai prima
aver compiuto test su cavie più docili era da folli. Tuttavia, i suoi dubbi
erano stati già respinti e ora non gli rimaneva che ubbidire prontamente... e
pregare.
Il P.O.W.E.R. venne fatto
ingerire per via orale, fu un inserviente a portarglielo. Tremava alla visione
di quel corpo su cui, pezzo per pezzo, era stato montato il letale apparato di
distruzione. La potenza di quel coso era superiore a quella del più moderno
carrarmato in dotazione alle forze U.S.A. Bevve con avidità il liquido di
colore verdognolo, storcendo un po' la bocca per il sapore. Sapeva di piscio di
montone, almeno così immaginava avrebbe dovuto essere il piscio di montone.
Attese con impazienza l'ultima fase. Venne premuto un contatto, da mr. Weird
che era stato invitato da Jingo a farlo. Una scarica di radiazioni investì il
soggetto. Si inarcò con tale forza che saltarono gli anelli che avrebbero
dovuto tenerlo bloccato al tavolo. Fu come se avessero gettato un fiammifero
dentro un pozzo petrolifero. I suoi muscoli, sotto la suit, bollivano, mentre
vene e arterie si gonfiavano in modo grottesco, quasi che il sangue volesse
scappare fuori da quel corpo scosso da convulsioni potentissime. Aveva perso il
controllo del suo corpo, colpì con la nuca il tavolo di metallo, incurvandolo
fino al punto di aprirvi uno squarcio. Urlò disperato, con la lingua che usciva
fuori dal mare di bava che gli aveva colmato la bocca. Le ossa scricchiolavano
mentre cambiavano violentemente la propria conformazione. Gli organi interni si
torcevano mentre i nervi sembravano doversi spaccare insieme ai tendini. Dopo
un minuto cadde in uno stato di immobilità totale.
Due occhi da cui colavano
lagrime di sangue si aprirono all'improvviso sul mondo.
Il telefono squillò. Il suo
rumore lo strappò di prepotenza dal mondo del sonno dove era sprofondato rapidamente.
Aveva lasciato la tv accesa. Che idiota. L'aveva accesa per sentire un po' di
compagnia mentre si lavava. Non era riuscito a mettersi sul letto senza prima
essersi tolto di dosso la sensazione dello sporco. Uno sporco non tanto
materiale a dire il vero.
"Chi è?"
Era assonnato, proprio non
riusciva a capire chi fosse. Il numero dell'appartamento l'aveva lasciato
solo...
"Ciao Peter."
Era un vero idiota, pensò,
come poteva non esserci arrivato subito. Si tirò su di scatto.
"Amore! Come stai? E'
successo qualcosa?! Tu, May..."
"Stiamo bene. No. May
sta bene. Pensa che tu sia via per lavoro. Sono io che so che non è così. Oh
meglio, non per un lavoro per cui potrei essere tranquilla."
"So cosa provi...
anche se non mi credi. Penso che dovremo parlare amore mio. Parlare davvero
stavolta. Ti devo delle scuse."
"No. Io te le devo.
Solo che... il fatto che tu abbia deciso di trasferirti lì per un po'... non è
stato per me? Voglio dire, non è colpa mia vero?"
"Angelo mio, cosa
dici? Sai benissimo che non è per te. Vorrei essere lì con te! Dio, vorrei
sentire il profumo del tuo corpo... i tuoi capelli su di me. Vorrei giocare con
mia figlia, come qualsiasi padre e portarvi a passeggio e... ma devo rimanere
quì. Almeno per un po'."
"Capisco. Dico davvero
Peter io..."
Si interruppe quando sentì
il grido soffocato di suo marito.
"Cosa è successo?! Dio
Peter, stai..."
"Devo andare!"
Riattaccò senza aggiungere
altro.
"Mantieni il
controllo. Se ha fatto così ci deve essere un buon motivo. Dio Peter, deve
esserci..."
Poi, mentre per caso lo
sguardo si era posato sulla TV che aveva accesso per farsi compagnia, mentre su
quella sedia decideva se cedere o meno e chiamare l'uomo che amava per sapere
se tutto era a posto, il filo dei suoi pensieri venne brutalmente interrotto.
"... sì Carl! Quì le
cose si mettono male!- L'inviata Keiko Shimura si strinse nel suo impermeabile,
mentre la pioggia le frustava il viso.- Le forze di polizia hanno bloccato
l'intero perimetro. Non si hanno notizie certe. Si parla tuttavia di almeno 50
morti! Le autorità stanno cercando di organizzare un piano per porre fine a
questa carneficina bloccando il mostro! Intanto gli abitanti della città,
terrorizzati, non possono fare a meno di chiedersi angosciati, chi potra fermare
questa bestia scatenata? Possibile che in questa notte d'inferno, ci abbiano
abbandonato?"
"Cristoddio!
Keiko!!!"
Il cameraman urlò per
avvertire la collega. La telecamera filmò attimo per attimo l'auto che calò
come un'ombra minacciosa su di lui, fino al momento in cui le immagini si
interruppero bruscamente.
"Jonah!"
"Sì, so tutto! Abbiamo
inviato qualcuno sul posto?!"
"Si, Betty, Ben
e..."
"Presto, chiamali e
avvertili che si tengano lontani da quel coso."
"Jonah ma..."
"ROBBIE! Fai come
cazzo ti ho detto. Me ne fotto che ora sei tu a decidere quì! Ma io conosco
quel mostro! So cosa può fare!!! L'ho visto in televisione e ti assicuro che
non l'avevo mai visto così!!! Ha già operato una carneficina! Non si fermerà di
certo!"
Robertson, senza aggiungere
altro, si affrettò ad eseguire gli ordini di Jameson. J.J. era senza fiato,
guardava senza dire più nulla un piccolo TV. color che trasmetteva le ultime
immagini dell'inviato rimasto schiacciato sotto un'auto lanciata verso la
folla. Per un istante, aveva intravisto il responsabile di quell'eccidio. I
suoi occhi rosso sangue, le pupille gialle, le lacrime scarlatte, quel ghigno
idiota mentre la bava colava dalla bocca carica di zanne. Cadde in ginocchio,
coprendosi il volto per la vergogna e la paura.
"Jonah!"
Ma ormai non udiva più
quello che il suo migliore amico gli gridava.
"Che cosa ho fatto?
Dio!!! Che cosa ho fatto?!?!!?"
"Signore..."
"Scott! - Urlò Rucker
per sovrastare il clamore della pioggia e dei mezzi pesanti della polizia che
erano stati messi in campo. - Situazione."
"Il perimetro è stato
sgombrato, ci è stato dato l'ordine di creare un cuscinetto tra la popolazione
e quel mostro. Tra un po' arriveranno i mezzi della Guardia Nazionale e reparti
speciali dalla Volta. Nessuna traccia di super tizi per ora."
"Uno verrà... uno
verrà."
Volava lanciandosi da una
tela all'altra. Spingendosi con tanta forza che quasi sentiva le sue ossa
scricchiolare. Sotto, macchine, persone in fuga e forze dell'ordine che
cercavano di porre ordine nel caos, scorrevano velocissime. Cosa era successo?
Perchè proprio ora!?
"Stavolta non posso...
non posso ignorare quello che hai fatto!"
Ore 09.30. New York.
Queens.
Ululava il suo scherno al
mondo, ergendosi torreggiante nella pioggia che inutilmente cercava di
abbatterlo. Si sentiva felice e pulito, come non gli succedeva da quando era un
monello di strada. La sua coda si agitava nel vento, frustando ora qua ora là.
Sorrise al mondo che lo guardava in estatica contemplazione, perchè ora di
sicuro era il più bello in città. Sapeva che presto sarebbe arrivato qualcuno
con cui giocare e divertirsi. Qualcuno di speciale a cui volere bene... da
uccidere. Rise divertito, e pestò i piedi a terrò, provocando delle crepe
nell'asfalto. Alzò le braccia al cielo e gorgogliò qualcosa di incomprensibile
ai più. Un ringhio, un suono orripilante, una minaccia senza senso. Gridò al
mondo interno di tremare, perchè lui era lì per giocare e avrebbe giocato! Urlò
al cielo che lo sovrastava il suo nome. Urlò ecco! Io sono lo...
SCORPIONE!!!!
Fine della 5a parte.